IPO è un acronimo ripreso dalla lingua inglese, che sta a significare Initial Public Offering, ovvero un’offerta al pubblico per la prima volta di azioni che appartengono ad una società che intende quotarsi per la prima volta su un mercato regolamentato, tipicamente la borsa.

Si tratta di uno strumento importantissimo per la crescita delle imprese, soprattutto per quelle che, una volta raggiunto il massimo grado possibile di sviluppo tramite l’attuale configurazione societaria, provano proprio la strada della borsa al fine di attirare investitori, soci e capitali.

La IPO è legata a doppio filo con la borsa valori, il mercato regolamentato di riferimento per quanto riguarda lo scambio di azioni, quantomeno in Italia, e può svolgersi, come potremo vedere più in dettaglio più avanti, secondo diverse modalità.

Le IPO sono anche una buona occasione per gli investitori per entrare in partecipazione in aziende il cui valore potrebbe salire nel breve, medio o lungo periodo.

Data l’enorme quantità di norme che regolano questo tipo di operazioni e dato anche il fatto che non tutte le aziende che si propongono in borsa sono sempre un buon investimento, affronteremo la questione insieme, nei dettagli che le sono propri.

Non solo IPO italiane

Prima di addentrarci nello specifico, in via generale possiamo dire che le IPO non interessano ovviamente soltanto l’Italia e dunque Piazza Affari, ma tutte le piazze borsistiche del mondo.

Anche con un banale deposito titoli si può in genere accedere alle IPO statunitensi (le più frequenti e di gran lunga le più importanti) o a quelle che hanno luogo nelle principali borse europee, come Francoforte, Amsterdam, Londra e Parigi.

Ma ora entriamo nel dettaglio!

Che cos’è un IPO?

Il termine Ipo, come abbiamo anticipato, indica il primo momento in cui le azioni di una compagnia privata sono offerte al pubblico.

Si tratta di operazioni alle quali in genere ricorrono aziende di piccole e medie dimensioni, che le utilizzano per acquisire capitali tramite la Borsa e non sul mercato del credito.

Non è detto però che tutte le aziende che ricorrono alla IPO siano di dimensioni medio/piccole. Talvolta si tratta anche di grandissime aziende che si propongono sul mercato borsistico per la prima volta.

Le IPO avvengono però non direttamente, ma con l’assistenza in genere di grande banche d’affari, che vengono chiamate “underwriting firm” che aiutano a stabilire la quantità di azioni da emettere, il prezzo di offerta e il tipo di azioni (se hai letto gli altri speciali sugli investimenti saprai bene che non esiste soltanto un tipo di azioni).

Ogni anno in borsa, che si tratti del mercato italiano, di quello tedesco, di quello francese o di quello americano, avvengono moltissime IPO, che possono riguardare sia aziende che sono estremamente conosciute (il caso di Facebook, Twitter, Tesla, solo per citare tra i più recenti) sia che siano invece meno conosciute.

OPS: che vuol dire l’acronimo?

Le OPS sono le Offerte Pubbliche di Sottoscrizione. Si tratta di una modalità attraverso la quale il Consiglio di Amministrazione di una specifica azienda decide di collocare sul mercato azioni di nuova emissione.

È una manovra alla quale si ricorre per aumentare il capitale a disposizione della società senza andare a chiedere ricapitalizzazioni da parte dei soci. I ricavati vengono immessi nelle casse e portano ad un aumento del capitale sociale immediato.

Le offerte pubbliche di sottoscrizione sono diverse, per specie, da altri tipi di offerte pubbliche, che affronteremo nello specifico subito di seguito.

OPV o Offerta Pubblica di Vendita

L’Offerta Pubblica di Vendita è una scelta presa ancora una volta dal Consiglio di Amministrazione della società in questione.

La società immette sul mercato però non azioni di nuova emissione, ma azioni che sono già in circolazione e tipicamente di proprietà dell’azienda stessa.

L’Offerta Pubblica di Vendita è una modalità alla quale si ricorre molto di frequente, anche se ha delle differenze importanti dall’OPS: con la OPV infatti il capitale non entra mai a far parte del capitale sociale, ma viene intascato appunto dai soci che hanno acconsentito alla vendita delle azioni, mettendo sul piatto proprio le azioni di loro proprietà.

OPVS: L’Offerta Pubblica di Vendita e Sottoscrizione

L’OPVS è la terza delle modalità attraverso le quali si possono immettere nel mercato parte delle azioni societarie.

In questa modalità opera una sorta di disposto combinato tra l’OPV e l’OPS; vi si ricorre quando l’azienda ha bisogno di un intervento di carattere finanziario complicato e ingente, che prevede al tempo stesso l’uscita dei vecchi soci, l’ingresso di nuovi e anche l’ingresso di nuovi capitali attraverso quelle che sono le emissioni delle nuove azioni.

L’operazione può essere utilizzata sia da aziende i cui grossi azionisti vogliono disfarsi del controllo della società (è un caso in realtà sempre più raro e sempre meno interessante per gli speculatori e gli investitori), sia nei casi in cui l’azienda stia letteralmente tentando il tutto per tutto prima di portare i libri in tribunale o aprire una crisi societaria importante.

Anche le OPVS, così come nel caso delle altre manovre possibili per il CdA, operano degli importanti controlli da parte della Consob e della Banca d’Italia.

Quotazione e costi per l’impresa

Chi volesse comprendere a fondo il funzionamento delle IPO, delle OPV, delle OPVS e delle OPS deve necessariamente cercare comprendere anche quelli che sono i meccanismi ai quali l’azienda neo-quotata o fresca di aumento di capitale deve affrontare.

CI sono innanzitutto i costi diretti della quotazione, che comprendono le consulenze legali e di tipo strategico che vengono fornite dagli advisor, ci sono i costi per le eventuali modifiche a livello statutario, ci sono le spese per la certificazione dei bilanci, nonché della documentazione che viene richiesta dall’autorità di vigilanza.

Quando la quotazione inoltre prevede la collocazione, come nel nostro caso, di titoli a Piazza Affari o in qualunque altro mercato aperto, c’è da gestire anche la commissione, tipicamente molto cara, che viene pagata a favore dell’underwriter, ovvero dell’istituto che si occuperà della collocazione. I costi di collocamento possono partire dal 3% e arrivare anche al 7%.

Non sono questi i costi di collocazione che l’azienda dovrà sostenere: ci sarà necessario di mettere in opera un’adeguata operazione di marketing, tesa ad attirare per quanto possibile nuovi investitori.

Inoltre la società di Borsa, che nel caso dell’Italia è la società che gestisce Piazza Affari, richiede una quota fissa per entrare nelle trattazioni, nonché una quota di tipo associativo per rimanere sul mercato, anno per anno.

Il problema dell’underpricing: ecco come guadagnare da IPO e simili

Ora entriamo nel vivo della trattazione per chi vuole saperne di più su come guadagnare con le IPO.

Il problema grosso che le aziende che vogliono quotarsi si trovano ad affrontare è quello dell’underpricing.

Le azioni che vengono immesse sul mercato tramite IPO (e in misura relativamente simile il discorso vale anche per le azioni di nuova emissione) sono offerte ad un prezzo di sottoscrizione che viene stabilito dai consulenti ai quali l’azienda sta ricorrendo.

L’andamento tipico è questo: l’azienda, dopo aver fatto controllare conti e contratti, patrimonio e capitale sociale, nonché le previsioni per il futuro dagli advisor, stabilisce un prezzo per l’acquisto delle azioni che vengono immesse sul mercato per tramite della borsa. Il prezzo viene dunque determinato “a tavolino”, pur tenendo conto di quelli che sono i dati più importanti che rappresentano sia l’andamento sia il patrimonio che fa capo alla società.

Gli esperti però, come è noto a chi investe, si sbagliano di frequente e questo avviene anche nelle proiezioni che provano a stabilire il prezzo di IPO giusto.

Una volta che le azioni saranno immesse sul mercato sarà questo a stabilire il prezzo, o meglio, saranno tutti gli investitori che vorranno acquistare e vendere le azioni.

Anche nella storia recente e con le procedure per la valutazione di un’azienda che si sono molto affinate, ci sono state delle enormi cantonate prese dalle agenzie che offrono assistenza di questo tipo.

Per fare un esempio delle più disastrose IPO degli ultimi tempi possiamo pensare a Facebook.

L’azienda si è quotata nel 2012 ad un prezzo imposto dagli underwriter di 38 dollari per azione. Dopo poche ore avevano già perso parecchio terreno e dopo una settimana, tra alti e bassi, valevano poco più di 26 dollari. Chi ha investito subito dopo la IPO, per intenderci, ha riportato delle perdite sostanziali.

Chi vuole guadagnare dalle IPO deve muoversi in quegli scenari che invece si muovono in senso inverso, ovvero quando il prezzo stabilità dall’underwriter dell’azione, che come abbiamo visto poco sopra è il soggetto che si occupa di stabilire il prezzo, ha in realtà sottostimato il valore dell’azienda.

È successo moltissime volte (Google è forse uno dei casi più recenti) e si possono fare sicuramente buoni affari in seguito alle IPO: l’importante è non saltare necessariamente sulla prima che capita, dato che, come insegna il caso di Facebook, non sempre le IPO sono terreno di caccia fecondo.

Il discorso appena affrontato però avrebbe dovuto generare nella mente di chi legge un’altro tipo di pensiero: cosa succede alle aziende nel caso in cui dovessero quotarsi e poi subito perdere valore a livello di prezzo delle azioni?

La risposta è semplice: le aziende bruciano valore, o meglio, perdono parte della quotazione, in un processo che è in grado (pensiamo a quello che è successo a Google, tante azioni vendute a prezzo molto più basso di quello che poi era quello giusto secondo il mercato) di bruciare anche centinaia di milioni di dollari.

Sono costi per l’azienda, che si devono mettere in conto e che sono da registrarsi ogniqualvolta che l’azienda abbia venduto azioni a prezzi più bassi di quelli di mercato. In quel caso dunque vincono gli investitori e perde l’azienda.

Dopo la trattazione di oggi dovrebbe essere abbastanza chiaro muoversi sul mercato delle IPO. Ma che dire di OPS, OPV e OPA? Vediamolo insieme.

OPS, OPV e OPA, non valutare soltanto il prezzo, ma anche (cosa decisamente più importante) il futuro dell’azienda

Le OPS, le OPV e le OPA sono momenti particolarmente convulsi della vita di un’azienda e per questo motivo dovrebbero essere analizzati a fondo prima di investire:

  • L’OPS: si tratta di un’operazione che riguarda l’aumento di capitale sociale. Dato che l’azienda ha deciso di non offrire prelazione a chi è già socio, si dovrebbe analizzare attentamente il motivo che ha portato all’emissione di nuove azioni e alla mancanza di ricapitalizzazione tra interni; si potrebbe trattare di un’azienda in crisi aperta e che non potrebbe salvarsi neanche nel caso di OPS andata a buon fine.
  • L’OPA: possono essere molto vantaggiose per chi ha già delle azioni in portafoglio, dato che tipicamente l’OPA deve offrire un sovrapprezzo rispetto a quelli di mercato. Quando si vocifera di una possibile OPA per un’azienda quotata in borsa, il prezzo dello stock tipicamente sale; è forse l’evento più auspicato da parte dei piccoli risparmiatori, che possono decidere di aderire o non aderire all’offerta di chi sta effettuando la scalata.
  • L’OPV: L’offerta pubblica di vendita può essere anche lei segnale di problemi, anche importanti. La compagine sociale sta infatti cambiando radicalmente e non possiamo sapere in anticipo cosa ci riserva il futuro. In questo caso, come negli altri precedenti, sarà assolutamente necessario prestare la massima attenzione, nel caso in cui la nostra volontà fosse quella di cercare di ricavare il massimo da questi movimenti.

In linea di massima comunque gli eventi di cui abbiamo parlato insieme nella guida di oggi sono tra i più difficili da interpretare sul mercato borsistico.

Chi vuole cercare di aumentare il proprio capitale in seguito a IPO, OPA, OPV, OPS e altre operazioni analoghe deve essere sempre cosciente del fatto che si tratta di operazioni molto complesse, che possono mettere a serio repentaglio la composizione del nostro portafoglio e la consistenza del nostro capitale.

Stiamo praticamente scommettendo sul fatto che l’underwriter, che è tipicamente una banca d’affari con ottimi analisti, abbia prezzato in modo non corretto un’azienda: capita, e anche spesso, anche se è difficilissimo capire se l’azienda sia stata prezzata troppo alta o troppo bassa.

Prima di investire: capire gli interessi dell’azienda nel quotarsi

L’ultimo aspetto di cui si dovrebbe tenere conto nel caso di quotazione tramite IPO di un’azienda è l’interesse di questa all’offerta in borsa. L’underwriter potrebbe infatti modulare il prezzo per incontrare la quantità di capitale attualmente necessaria per l’azienda, piuttosto che invece per darne una valutazione accurata.

Potrebbe essere il caso di azioni con prezzi troppo cari, dato che l’azienda non ha poi bisogno immediato di capitali. In altri casi invece può essere il caso di quotazioni al ribasso, che potrebbero spingere ad investimenti e richieste particolarmente massicce, con un aumento di capitale sociale immediato e consistente, anche a scapito del valore dell’azienda stessa.

Si dovrebbe valutare dunque non soltanto il prezzo dell’azione, ma anche il numero di azioni emesse e fare una stima della capitalizzazione che l’azienda avrà in borsa, moltiplicando il prezzo richiesto per ogni azione per il numero di azioni emesse. Che percentuale di azienda sta arrivando in borsa? Qual è il valore? È credibile?

Chi riesce a effettuare queste valutazioni in modo attento e circostanziato, tipicamente riesce anche a guadagnare da operazioni come IPO, OPS, OPV e OPA.

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Laura Magistrale in Marketing e Comunicazione d’Impresa (2004) conseguita a pieni voti presso l’Università degli Studi di Torino e Master di II livello presso la Facoltà di Economia di Torino (2006). Scopri di più su Anna e la redazione qui

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