Intervista a Carolina Vergnano, Amministratrice di Caffè Vergnano

carolina vergnano

Intraprendere è oggi in compagnia di Carolina Vergnano, una donna imprenditrice ed esponente di una delle famiglie che, da oltre un secolo, esportano l’alta qualità del made in Italy all’estero: parliamo di Caffè Vergnano.

Carolina è una imprenditrice che ha avuto le idee chiare sin dalla più giovane età: lavorare nell’azienda di famiglia con lo scopo di elevare Caffè Vergnano in tutto il mondo.

La chiacchierata con Carolina ci ha fornito 3 concetti preziosi:

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  1. Non lasciarti prendere dallo sconforto, per quanto una situazione possa essere difficile rimboccati le maniche e riparti.
  2. Avere passione per il proprio lavoro è ciò che può davvero fare la differenza.
  3. Rispetta i tuoi clienti e non lasciarli da soli nei momenti di crisi.

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Puoi vedere l’intervista completa qui

Carolina vuoi raccontarci la storia dell’azienda della tua famiglia?

L’azienda è nata nel 1882 e viene gestita da ben quattro generazioni Vergnano. La nostra è un’azienda partita dal piccolo, quando il mio bisnonno si guadagnava da vivere raccogliendo e trasportando verdura dalle colline torinesi ai mercati.

Da qua è entrato in contatto con alcuni fornitori di caffè crudo e si è appassionato al prodotto dando inizio all’azienda di famiglia.

Ad oggi l’azienda è gestita da cinque Vergnano, di cui io sono l’unica donna. Lavoro in Caffè Vergnano da 15 anni e sono molto felice di farlo.

Hai sempre avuto questa vocazione o la passione per l’azienda di famiglia è nata successivamente?

Sono sempre stata appassionata perché a casa mia mio padre ha sempre parlato di tutto, dei problemi e delle opportunità dell’azienda. Raccontava anche i suoi incontri con i clienti.

Insomma anche nel nucleo familiare ho sempre vissuto l’azienda.

L’elemento positivo è che si è trattata di una mia scelta, non mi è mai stato imposto né suggerito nulla, mi sono semplicemente appassionata all’azienda.

Caffè Vergnano è un’azienda internazionale che fa import di materia prima e con clienti provenienti da tutto il mondo: come avete vissuto la fase 1 di questa emergenza Covid-19?

I paesi hanno cominciato a chiudersi uno dopo l’altro. In occidente l’Italia è partita per prima dopo i mercati asiatici e poi pian piano, nei giorni successivi ,sono state registrate le chiusure da parte degli altri paesi.

Come azienda ci siamo posti in modo da essere il più vicino possibile ai nostri clienti e ai nostri distributori. Ci siamo concentrati nel recepire le notizie il più aggiornate possibili anche su piccoli segni di riapertura, dal delivery al take away. Qualunque segnale per noi rappresenta anche una piccola ripresa del business.

Ovviamente anche per noi è stato un mese molto duro, in cui il fatturato dell’estero è crollato. Noi, come azienda siamo sempre stati molto attivi e protettivi nei confronti dei clienti. È difficile, ma vediamo qualche segno di ripresa.

Siamo finalmente arrivati alla fase 2: voi vedete una riapertura dei mercati e una positività degli stessi?

Di mercati positivi ne prevedo pochi, in molti sono spaventati dal fatto che i consumatori saranno esitanti, più impauriti e meno propensi ad andare al bar, quindi al momento caffè.

Per ora percepiamo molta incertezza, la stessa nostra incertezza perché non sappiamo se la nuova normalità includerà il mondo HO.RE.CA., anche nel suo aspetto di socialità. Il caffè sicuramente verrà bevuto, non abbiamo ancora bene individuato quale sarà il canale privilegiato dai consumatori.

Una cosa con cui sto facendo i conti in questo periodo è la difficoltà nel riuscire a tracciare una strategia di lungo termine quando non si ha ancora nullo di definito, a maggior ragione quando si parla del subentrare di una nuova abitudine. Cosa ne pensi?

È proprio questo il problema, noi come azienda siamo abituati ad avere un programma, ma oggi – tra aperture, chiusure, nuove regolamentazioni, possibili nuovi lockdown se le cose dovessero andare male – siamo costretti ad adottare un atteggiamento molto “vivo settimana per settimana”, che è molto poco di una azienda.

Ma siamo costretti ad adattarci e a rispondere alle situazioni nel modo più veloce possibile per dare una soluzione ai nostri clienti.

Per quanto riguarda la gestione aziendale invece, come siete riusciti ad organizzarvi con lo smartworking?

Noi non l’abbiamo mai fatto più di tanto. Credo molto nei momenti di aggregazione, non tanto per timbrare un cartellino, ma perché dalla vicinanza intellettuale, dallo scambio e dalla sinergia possono nascere grandi idee.

Credo molto nel contatto fisico come generatore di idee, più che una presenza fisica per rispettare un orario.

Questo aspetto mi è mancato molto e lo smartworking, secondo me, funziona bene nei casi in cui l’individuo ha una mansione ben definita in una azienda ben strutturata. Però, secondo me, viene comunque a mancare quell’aspetto creativo, anche in professioni che apparentemente non includono questa creatività.

Posso dire che è stata una bella esperienza, sicuramente ci porteremo ancora a casa qualcosa di questa nuova modalità di lavoro, e la riutilizzeremo quando qualcuno avrà dei compiti più definiti in cui è richiesta particolare concentrazione, ma non lo utilizzeremo nel momento in cui ci sarà bisogno di generare delle emozioni e delle idee.

In questo periodo ho letto di un tuo progetto, il Pink Coffee. Di cosa si tratta?

Abbiamo lanciato questo progetto di charity il 1 gennaio 2019. Ci siamo resi conto di quanto le donne nelle piantagioni di caffè ricoprano un ruolo fondamentale sia come lavoratrici che come nucleo familiare coinvolto all’intento del lavoro in piantagione.

Essendo le abitazioni limitrofe alle piantagioni la donna tipicamente assume il doppio ruolo di collante familiare e di forza lavoro. Partendo da questa esigenza abbiamo cercato una vicinanza con questo mondo femminile all’interno delle piantagioni e abbiamo sostenuto, in collaborazione l’associazione IWCA – International Women’s Coffee Alliance, abbiamo sviluppato due progetti specifici: il primo è in Repubblica Dominicana, mentre il secondo in Honduras.

Per quanto riguarda il progetto in Repubblica Dominicana coinvolge delle piantagioni in cui le donne possono proporre il loro caffè. In questo caso abbiamo voluto supportarle con l’acquisto di una tostatrice perché potessero tostare localmente e quindi assaggiare e migliorare costantemente la qualità del loro caffè.

In Honduras invece stiamo raccogliendo fondi per costruire una libreria che possa diventare una zona di aggregazione per le famiglie all’interno della piantagione.

Per raccogliere i fondi abbiamo creato una collection di oggetti in rosa, dalla moka alla nostra iconica tazzina, in cui una parte dei proventi della vendita è destinata al finanziamento di questi progetti.

Sono piccoli progetti che ci permettono, innanzitutto, di capire le storie di queste donne in piantagione, ma allo stesso tempo ci permettono di renderci utili.

Ricollegandoci ad un discorso più generico del mondo del lavoro, ho notato che durante l’emergenza Covid-19 in Italia sta riemergendo la problematica della differenza di approccio fra uomo e donna. Cosa ne pensi? Secondo te come si potrebbero supportare in questo momento le donne lavoratrici?

Penso che le donne siano state un po’ dimenticate, sopratutto i nostri bambini sono stati dimenticati nel corso di tutti questi decreti. Credo che la scuola non sia solo un incubatore di cultura, ma sia anche un momento di crescita e privarne per così lungo tempo è secondo me una scelta molto forte.

Scelta che, per forza di cose, include anche le mamme, che immediatamente sono state coinvolte nella gestione dei figli per un lasso di tempo così ampio.

Quando una mamma lavora la gestione dei figli diventa una gestione che bisogna necessariamente demandare ad altri, il che si traduce in un dispendio economico e con la ricerca di risorse. Ad oggi posso dire che secondo me abbiamo fatto un brutto passo indietro.

In Caffè Vergnano abbiamo pensato ad una banca del tempo per venire incontro ai professionisti formatori che, in questo momento di difficoltà, potrebbero mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze per i bambini, in appositi spazi aperti e secondo le norme di sicurezza.

Insomma, abbiamo immaginato uno scambio di competenze fra professionisti del settore per venire incontro alle mamme lavoratrici.

Ho visto un’altra vostra iniziativa: l’ape che ha portato il caffè nelle strade d’Italia durante l’emergenza Coronavirus. Una iniziativa che, ahimè, è però stata bloccata.

Si, l’idea era di portare il caffè in casa, nell’ambito della normativa del delivery e ritrovare il gesto della colazione. In realtà poi è nata una grossa polemica – ancora in corso – con multe a causa di una diversa lettura delle normative.

L’idea era, quindi, di portare in casa la colazione non tanto per quel piccolo incasso che avremmo potuto fare, ma era per dare un esempio ai baristi, non solo quelli di Caffè Vergnano, per provare a rialzare la testa.

È un momento difficile, i consumi sono bassi, ma cerchiamo di ripartire.

Ri-abituiamo il nostro consumatore a prendere il caffè. È proprio per questo che Caffè Vergnano ha voluto dare il buon esempio.

Il messaggio è stato forte non solo per i baristi, ma anche per il consumatore finale…

L’Italia deve ripartire. Io sogno un patriottismo in questo senso, sogno che gli italiani facciano le vacanze in Italia, che ci sia un sostegno a questo paese fortemente colpito, che sta facendo tutto quello che può fare.

Auspico che tutti questi piccoli e grandi imprenditori più o meno in difficoltà riescano a trovare nel loro piccolo un poco di coraggio. Questo è stato, appunto, un esempio che abbiamo voluto dare.

Nella community di Intraprendere ci seguono tanti aspiranti imprenditori. A chi vorrebbe aprire un bar o aveva questo sogno ma a causa delle emergenze lo ha rimesso nel cassetto, che cosa consigli?

In Caffè Vergnano abbiamo immaginato il mondo del bar mobile come protagonista dei prossimi anni; l’ape, in realtà, ha aperto una strada nei pensieri non solo creativi, ma proprio realizzabili.

Quindi presto sul mercato daremo delle soluzioni che tenderanno a sfruttare di più l’esterno, proprio perché il mondo dei bar è destinato a cambiare, visto che gli spazi chiusi purtroppo creeranno un po’ di timore per i prossimi anni.

Ci stiamo attrezzando con proposte accattivanti. Per i baristi cambieranno le cose, ma alla fine il caffè per gli italiani è troppo importante. È davvero qualcosa a cui non si può rinunciare.

Anna Porello

Anna Porello

Imprenditrice digital e cuore pulsante di Intraprendere. Fonda la sua prima startup di entertainment geolocal nel 2006 venduta a una nota azienda italiana. Dopo anni come consulente nei processi di digitalizzazione di grandi imprese, decide di dedicarsi a Intraprendere.net, che co-fonda nel 2016.

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