Secondo una ricerca condotta su banche dati nazionali e internazionali, l’Italia risulta essere fanalino di coda per il Gender Gap nell’imprenditoria femminile: infatti solo il 22% delle imprese italiane è condotta da donne.
Ma facciamo un passo indietro e allarghiamo il nostro raggio d’azione al contesto mondiale ed europeo.
Il contesto
La disuguaglianza fra uomini e donne è evidente. Nonostante negli ultimi anni si sia cercato di colmare la differenza di genere attraverso politiche incentivanti e cultura a supporto, questa è ancora troppo preponderante anche nei paesi più occidentalizzati.
Secondo uno Studio della Banca Mondiale (World Development Report) una maggiore uguaglianza di genere aiuterebbe la produttività economica (anche del 20% secondo gli studi pubblicati sul sito della Banca di Italia) e ogni politica correttiva può migliorare lo sviluppo dei paesi.
Parliamo di accesso all’istruzione e alla salute (che forse nel nostro paese risultano più scontati), ma anche della voce all’interno delle famiglie e della cultura generale.
Oltre mezzo miliardo di donne rappresenta il 40% della forza lavoro mondiale, eppure ancora oggi, nei paesi più occidentalizzati, Italia inclusa, le donne guadagnano meno degli uomini.
E se le motivazioni di questa differenza in paesi sottosviluppati possono essere che le donne tendenzialmente trovano lavori in famiglie e quindi molto informali, nei paesi sviluppati sembra non esserci una logica apparente, se non quella condizionata dal genere.
In Italia, inoltre, la partecipazione femminile al mondo del lavoro, rispetto agli altri paesi occidentali, è ancora molto limitata: il divario è il più importante fra i paesi Europei, ma la nota preoccupante è che sembra peggiorare di anno in anno (secondo il Winning Women Institute).
Le donne in Italia subiscono una doppia limitazione:
Orizzontale: sembra che siano maggiormente impegnate in determinati settori rispetto ad altri (istruzione, sanitario, manifatturiero);
Verticale: a parità di impiego guadagnano meno rispetto agli uomini.
Nell’ambito imprenditoriale i dati riservano qualche amara sorpresa in più.
Se territori come il Canada, l’America Latina e il Sud Est Asiatico, hanno visto aumentare il tasso di crescita dell’imprenditoria femminile, non si può dire lo stesso dell’Europa che ancora non riesce a sfruttare la creatività e la capacità imprenditoriale femminile.
Anche la Germania, mercato economico a cui facciamo sempre riferimento come fra i più avanzati nell’UE, ha un tasso di attivazione imprenditoriale femminile del 3%.
Questi i dati che emergono dallo studio condotto dal GEM nel 19° rapporto globale sull’imprenditoria. La GEM fa riferimento ad un indice definito TEA, il cui acronimo tradotto in italiano è il Tasso di Attivazione Imprenditoriale, cioè la % di nuove aziende; lo studio coinvolge 74 paesi e la fotografia in Europa è sorprendente: il TEA femminile del Vecchio Continente è mediamente il60% più basso rispetto a quello maschile.
L’imprenditoria femminile in Italia
Anche in questo caso l’Italia ha dei numeri poco promettenti. Nonostante sia considerata paese dalla grande vivacità imprenditoriale anche il TEA maschile è solo del 6 %, ma quello femminile è pari a 2,5%.
Una fotografia più chiara del quadro italiano ci viene fornita dallo studio del 30 giugno 2018 effettuato dall’Osservatorio per l’imprenditoria Femminile di Unioncamere, secondo cui di 6 milioni 94mila imprese totali, soltanto 1 milione e 335mila è guidata da donne, ovvero solo il 21,9%. (clicca sulla tabella per vedere i dati completi regione per regione).
Solo ogni 5 imprenditori, 1 è donna.
In questo quadro dalle tinte non proprio rosee emerge un curioso particolare: le regioni in cui le imprese femminili superano il 23% sono perlopiù meridionali o centrali: la Basilicata è sul podio e si attesta al 26,7% ed è seguita da Abruzzo (25,8%), Umbria (24,8%), Sicilia (24,4%) e Calabria (23,5%).
Le cose non cambiano se si parla di Partite Iva personali che, sovente, risultano essere il primo passo verso una carriera imprenditoriale: infatti le partite iva aperte da donne risulta essere il 38%. (dipartimento delle finanze – MEF). (Clicca sulla tabella per vedere i dati completi regione per regione)
Perché il gender gap nell’imprenditoria Italiana è così forte?
Torniamo al Women Entrepreneurship Report e partiamo da un dato positivo: nel nostro paese il livello di nascita di impresa femminile per necessità è inferiore al 10% rispetto alle altre nazioni europee.
Ciò significa che, comunque, è presente nelle donne una forte motivazione nel creare impresa.
Il risvolto della medaglia è che purtroppo tale motivazione sembra giungere in età più avanzata rispetto agli uomini, a causa di una maggiore lentezza nell’acquisire sicurezza nelle proprie capacità imprenditoriali.
Andando nel dettaglio emerge che il 37% degli uomini è convinto delle proprie capacità imprenditoriali, mentre lo stesso valore nel mondo femminile scende ad un 24%. E non è tutto, considerato che, se il 47% degli uomini teme il fallimento, nella donna la paura di fallire sale al 55%.
Da cosa è data questa scarsa sicurezza? Possiamo sicuramente escludere il fattore “istruzione” considerato che, in media, le imprenditrici risultano essere più istruite dei colleghi uomini (60% contro 40%).
Queste differenze di genere così importanti ed evidenti sono persistenti nel tempo, tanto da suggerire l’esistenza di fattori culturali che condizionano le percezioni della società e individuali in base al genere.
Fattori culturali così radicati che hanno creato un contesto che non agevola l’imprenditoria femminile: cosa si aspetta la società dalla donna, come si agisce per evitare che i vari ruoli della donna entrino in conflitto fra di loro nell’eterna dicotomia lavoro/famiglia, la presenza quasi totalmente maschile in cariche decisionali, il peso delle credenze religiose e l’eventuale disponibilità (o mancanza) di servizi per l’infanzia.
Quello che però possiamo dire è che, di fatto, è venuto meno da parte della società un sostegno all’iniziativa imprenditoriale femminile.
Qual è la soluzione allora? Può essere considerato semplicistico un secco e semplice richiamo all’uguaglianza, perché di fatto uomini e donne non sono uguali considerato che, di fatto, vi sono delle esigenze differenti (ad esempio la gravidanza).
Ma è di certo più corretto auspicarsi una giusta equità di trattamento, perché le esigenze di una donna vengano rispettate dalla società, perché la società si adoperi per dare ad ogni donna i giusti mezzi per potersi realizzare professionalmente tanto quanto di un uomo.
Per agire sulla società bisogna cambiare concetti e convinzioni ormai radicate, bisogna fare cultura, per questo motivo nasce Intraprendere Donne: uno spazio dedicato alle imprenditrici e aspiranti in cui ci si può confrontare, ispirare e informarsi in merito ad ogni aspetto dell’imprenditoria femminile.
Anna Porello
Imprenditrice digital e cuore pulsante di Intraprendere. Fonda la sua prima startup di entertainment geolocal nel 2006 venduta a una nota azienda italiana. Dopo anni come consulente nei processi di digitalizzazione di grandi imprese, decide di dedicarsi a Intraprendere.net, che co-fonda nel 2016.